Associazione Letteraria Giovanni Boccaccio
Goracci: “Trovare la verità dentro una guerra è un’illusione”
Lucia Goracci, vincitrice del “Boccaccio per l’etica della comunicazione 2022”, sarà a Certaldo il 10 settembre, tra i protagonisti della cerimonia di premiazione. Inviata di guerra da molti anni racconta di sé con il consueto rigore etico che contraddistingue tutta la sua attività giornalistica, dedicata a ricostruire la verità di un conflitto e di quello che ne consegue.
Goracci e il Boccaccio: raccontare la Storia, il conflitto e il quotidiano, quali differenze o analogie tra ieri e oggi?
Goracci è Goracci e Boccaccio è Il Boccaccio. Lo ricordiamo, lo rileggiamo, da secoli. Ciò detto, le differenze sono molte. Innanzitutto il tempo. Oggi raccontiamo gli eventi in tempo reale, mentre essi accadono. Abbiamo nuovi mezzi – dentro la straordinaria novità, rispetto all’epoca del Boccaccio, che è il mezzo televisivo, l’immagine – che consentono al reporter di scandire l’evento con il proprio racconto, restituendone tutta l’emotività, la drammaticità. Non è solo la diretta, per realizzare la quale, sino a una decina di anni fa, si doveva comunque retrocedere dall’evento, tornare indietro, raggiungere il tetto di un hotel o un altro luogo sicuro, dove enormi mezzi satellitari ci consentivano di andare in onda, ma comunque con il fatto da raccontare già sedimentato, meditato. I nuovi mezzi, carte sim da inserire in strumentazioni piccole e leggere chiamate zainetti, permettono di andare in onda da dentro le cose mentre accadono. Un bombardamento appena avvenuto, con i primi soccorsi; un’avanzata militare, con i civili liberati che ti vengono incontro. Ricordo l’emozione di Hammam al Alil, nelle periferie di Mosul. La popolazione – donne, vecchi, bambini – che tornava a rivedere la vita, la luce, dopo aver trascorso mesi nei sotterranei della guerra, come scudi umani. Sembravano Il Terzo Stato di Pelizza da Volpedo: un ininterrotto fronte umano, vestito di stracci cui la liberazione restituiva colore; la polvere si trasformava in odore; la maschera di morte sul volto, in sorriso. Accendere la telecamera e iniziare a parlare mentre un evento si sta compiendo – con tutta l’imprevedibilità, tipica di un evento di guerra – restituisce intatte la commozione, l’indignazione, la paura o il sollievo. Rende il reporter parte della storia che sta avvicinando. Quanto alle analogie, direi l’etica, come imperativo. Il racconto di guerra deve essere un racconto etico. Perché tra noi e loro la differenza è nel destino. E’ vero, come ho detto poco fa, che soffriamo con loro, proviamo freddo o paura con loro, abbassiamo la testa cercando un riparo, proprio come loro, quando ci troviamo dentro una guerra. Un giornalismo di immersione, che è quello che tento da sempre di praticare. Ma poi, noi a un certo punto ce ne andiamo. Il grado di sofferenza, o di rischio che assegniamo al nostro stare lì, è sempre temporaneo e limitato. Lo decidiamo noi. E a fine missione, rientriamo alle nostre case, al nostro mondo. Loro non possono decidere di andarsene. Loro rimangono.
Quali sono i luoghi o gli incontri che l’hanno segnata di più?
Ho un ricordo commosso dell’Onda Verde di Teheran. Quando, nel giugno 2009, dopo che molti iraniani avevano creduto di poter cambiare le cose con il loro voto ed erano tornati ad eleggere in massa i candidati riformisti Mussavi e Karrubi, in poche ore la notte dell’elezione, fu di nuovo proclamato presidente Ahmadinejad. L’indignazione si aggrumò nelle strade di Teheran. Spontanea, come spontanei erano stati i cortei e i caroselli pre-elettorali. Ma le condizioni erano mutate, repentinamente. Non era più il tempo della libera espressione – se mai lo fosse stato. E iniziò una repressione spietata del dissenso. Assistetti impietrita a scene di inaudita violenza, che anche per noi inviati divenne sempre più difficile testimoniare. La televisione di stato, da dove andavamo tutte le sere in diretta, fu presa sotto il controllo dei Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione; neanche eravamo certi, a fine giornata, nel caso fossimo riusciti a muoverci dentro le proteste degli iraniani senza farci arrestare, di riuscire a trasmettere il nostro reportage. Ebbene, quel grido, “dove è il mio voto?” raccolto nei cartelli in tutte le lingue del mondo, non potrò mai dimenticarlo.
E ho un ricordo vivido e carico di rispetto per la resistenza di Kobane. Quando, nel gennaio del 2015, con l’operatore di ripresa Miki Stojicic con cui ho raccontato più di dieci anni di guerre, entrammo – con un ingresso rocambolesco, correndo tutta la notte dentro la Kobane dei curdi (il racconto più bello, se solo ce lo avessero fatto filmare!), attraversando la frontiera tra Turchia e Siria. Kobane era assediata dall’ISIS su tre lati. Il quarto era la frontiera con la Turchia, sigillata. Kobane resistette all’avanzata dello stato islamico. Sembrava predestinata, invece con l’appoggio dei bombardamenti americani, respinse l’ISIS e passò al contrattacco. Sino alla liberazione di Raqqa, la capitale del Califfato. Sino all’ultimo lembo di occupazione, Baghouz. A Kobane, dormivamo in terra al pianterreno, perché i piani superiori potevano esser colpiti dai proiettili di mortaio dell’ISIS. Il cibo era scarso e il riscaldamento con le stufe a legna, mentre fuori c’era la neve. A Kobane, chi era rimasto aveva imbracciato un’arma, uomo o donna che fosse, per difendere il villaggio. E i cimiteri di guerra si riempivano ogni giorno di nuova terra smossa. Il fronte era la città stessa. Ricordo, il giorno in cui fu liberata la collina di Mishtenur – dove per mesi era sventolata la bandiera dell’ISIS – portarono noi giornalisti, la nostra troupe e la troupe di Channel 4, in cima al poggio ad assistere ai combattimenti. E a un certo punto il mezzo su cui ci avevano sistemati rimase senza carburante. Succede. Ci riportarono indietro a piedi, in una corsa in discesa verso i primi quartieri riparati. Ci salvò, guidandoci, un ragazzo. Quando, due mesi dopo ritornai, perché mi ero ripromessa di assistere al primo nowruz, il capodanno dei curdi, nella Kobane liberata, mi raccontarono che il ragazzo era stato ucciso in combattimento. Ricordo le scuole sottoterra. Ai bambini Kobane continuava a fare lezione negli scantinati delle case. Erano giovani volontarie a insegnare – le maestre, come la gran parte della popolazione, erano fuggite nella vicina Turchia. Non dimenticherò mai l’emozione, al ritorno in marzo, di entrare tra i banchi delle scuole che riaprivano, anche se con grossi buchi sui muri, per i bombardamenti. Ricordo i cadaveri dell’ISIS lasciati a decomporsi ai lati della battaglia. Con le loro barbe nere, bionde, rosse, mi confermarono quanto fosse multinazionale quell’esercito, esteso il richiamo di cui fu capace lo stato islamico. Oggi queste storie sembrano dimenticate. E pure i curdi lo sono.
Qual è per una inviata-inviato di guerra il vero nemico da combattere?
La tentazione chiamata verità. Illudersi di trovarla dentro una guerra. Quando racconto un conflitto, non pretendo mai di cercare la verità – che preferisco lasciare ai filosofi, o agli uomini di fede. In guerra, si ricostruiscono i fatti. Se anche il giornalista potesse camminare sospeso lungo un’ideale linea del fronte, senza essere impallinato, neanche così troverebbe la verità. In guerra, quello che cerchi e che devi provare a ricostruire, con il tuo bagaglio di esperienza, fallibilità e umana onestà, sono i fatti. Una verità approssimativa. Che dipende dal grado di approssimazione che sei riuscito a raggiungere quel giorno all’evento. La guerra è vischiosa e menzognera. Il giornalista è sempre embedded. Sia quando lo è ufficialmente, perché ha firmato carte che lo collocano al seguito di un esercito; sia quando racconta la guerra dal lato della ribellione, o della piazza, mescolato tra i manifestanti. Perché ciascuno, più o meno consapevolmente persino inconsciamente, cercherà di tirarlo dalla propria parte, di vincerne il sostegno alla propria causa. E invece, in guerra non è mai Bene tutto di qua e Male tutto di là. Sempre diffido dei resoconti di guerra che tirino ascisse e ordinate definitive. Percorro guerre da 20 anni, e brancolo sempre più nel buio. Chi racconta le guerre declinando verità, in genere lo fa dal salotto di casa sua.
Alla luce degli attuali scenari storico-politici che la sua professione le ha consentito di esplorare che idea si è fatta del futuro possibile per l’umanità?
A guardare il mondo oggi, solcato da conflitti, carestie, un mutamento climatico che sfugge di mano, quando ancora la volontà politica di fronteggiarlo latita, verrebbe da essere pessimisti. Ma io mi sforzo di cercare sempre il lato positivo delle cose. E vedo il mondo oggi più informato, collegato, consapevole. Giovani generazioni più mobili di quanto non fosse la nostra. Agili nell’uso delle nuove comunicazioni – rispetto alle quali io mi sento un brontosauro. Certo, il rovescio della medaglia, mi si lasci dire, è un più di fragilità e superficialità. Il sapere oggi è spiccio, sminuzzato. Preferivo l’epoca in cui le notizie le leggevamo sui giornali, piuttosto che dentro comunità social, popolate da tribù armate di certezze. Mi spaventa l’uso che i grandi centri di manipolazione possono fare di tutto questo.
Qual è la sfida più grande o più temuta per chi va al fronte per raccontare la guerra, il terrorismo, l’emarginazione, la sofferenza di interi popoli?
Le sfide sono molte. L’etica, innanzitutto. Occorre sempre tener presente – e farlo arrivare al pubblico – che il racconto di guerra non è mai universale, ma sempre condizionato dall’osservatorio che si sceglie – o che talvolta viene imposto dalle condizioni. E che l’osservatorio è decisivo. Raccontare le guerre di Gaza da dentro Gaza o dalle colline israeliane di Sderot, segna una differenza fondamentale. La sfida politicamente meno impegnativa, ma altrettanto cruciale, è arrivare il più vicino possibile agli accadimenti. Quando parti per una guerra, è sempre uno andare controcorrente. La vita è sospesa, i mezzi di trasporto scompaiono, la benzina scarseggia. Quale strada è meno pericolosa? Quali orari? Dove ricaricare le batterie? Dove dormire? In guerra, ci si sveglia sempre all’alba. Quando raccontavamo la liberazione di Mosul dall’ISIS. Miki, Rodi, Karwan ed io lasciavamo sempre Erbil alle quattro del mattino, per essere alle sette sulle prime linee di Mosul. Ci restavamo sino al tramonto, per poi tornare velocemente indietro: in auto, tra i checkpoint e le buche che facevano sobbalzare, riguardavo le immagini e scrivevo i testi. Di nuovo a Erbil, cominciavamo a montare i servizi, per i diversi canali RAI. Questo tutti i giorni. Per quaranta giorni. In guerra il territorio parla. Si diventa cronisti di guerra imparando ad ascoltarlo.
Progetti nel cassetto
Un libro. L’operatore Miki Stojicic mi ha spiegato una volta, che il tempo delle due luci è quando la luce artificiale inizia ad affiancarsi a quella naturale, che se ne sta andando. Non è più giorno, non è ancora notte. E mi ha detto: un cameraman, che sa il fatto suo, la tiene a lungo viva, quella luce. La rende eterna. Credo che il mio libro, il primo, se prenderà vita avrà questo titolo: Il Tempo delle due Luci.
Certaldo, lì 05 Settembre 2022
Associazione Letteraria Giovanni Boccaccio
Conosciamo i vincitori dell’edizione 2022. Intervista a Lorenzo Cremonesi
Inviato di guerra di lungo corso, ha raccontato i fatti della Storia.
“Noi siamo gli storici del presente. Mi piace chi cambia idea sulla base di ciò che vede”
Lorenzo Cremonesi è uno dei vincitori dell’edizione 2022 del Premio Letterario Boccaccio. Inviato di guerra da molti anni per il Corriere della Sera, attualmente si trova in Ucraina dove da cinque mesi sta raccontando il conflitto in corso. E’ tornato in Italia soltanto per brevi pause per presentare il suo libro “Guerra Infinita. Quarant’anni di conflitti rimossi dal Medio Oriente all’Ucraina”, e sabato 10 settembre sarà a Certaldo per ricevere il Premio sezione Giornalismo.
Dalle zone del conflitto ci ha rilasciato un’interessante intervista su cosa significa essere reporter oggi, come è cambiato il giornalismo con l’avvento dei social e delle nuove tecnologie, svelandoci anche i suoi progetti futuri.
Cremonesi e il Boccaccio: raccontare la Storia, il conflitto e il quotidiano, quali differenze o analogie tra ieri e oggi?
“Nel lavoro del reporter c’è stato un profondo cambiamento negli ultimi venti anni. Mi riferisco principalmente ai nuovi sistemi e le nuove tecnologie per inviare pezzi e servizi, alla competizione con i social, al fatto di essere sempre connessi. Tutto ciò permette e richiede di raccontare quello che accade in tempo reale. E’ dunque cambiata la velocità della comunicazione – dal mio giornale (Corriere della Sera) mi vengono continuamente richiesti pezzi audio visivi - ma l’abc del giornalismo non è mutata, anzi. Le testate giornaliste che non hanno perso lettori, o addirittura hanno acquistato nuovi abbonati, sono proprio quelle che hanno compreso che bisognava tornare al giornalismo classico, quello degli inviati sul campo che hanno le proprie fonti, che vanno controcorrente, che cercano storie diverse da quelle che tutti gli altri hanno perché battute dalle agenzie o rilanciate dai portavoce. Lo dico sempre: diffidare dai portavoce, soprattutto nelle zone di guerra dove spesso è la propaganda a farla da padrone. Il reporter è quello che cerca oltre”.
Quali sono i luoghi o gli incontri che l’hanno segnata di più?
"Faccio l’inviato da oltre quanta anni. Ho iniziato nella provincia di Milano, negli anni Settanta. Sono tanti i conflitti che ho seguito e sicuramente i primissimi che ho raccontato mi hanno segnato molto: Israele e Libano, la prima Intifada palestinese e poi la guerra in Iraq. Quest’ultima, in particolare, mi ha segnato di più come giornalista e come uomo. Ho visto persone accoltellate per strada, bombe che mi cadevano vicino, hanno provato anche a prendermi e a Gaza fui davvero rapito brevemente. Nonostante tutto, non ho mai pensato di smettere di fare quello che faccio. Quando entro in una grande guerra voglio sempre vedere come andrà a finire. Sono in Ucraina da cinque mesi e saltuariamente rientro a casa per un breve periodo per presentare il mio libro (Guerra Infinita. Quarant’anni di conflitti rimossi dal Medio Oriente all’Ucraina). Lo farò con molto piacere anche per il Premio Letterario Boccaccio, ma poi non vedo l’ora di tornare sul campo”.
Qual è per un reporter il vero nemico da combattere o quali sono le paure con cui imparare a convivere?
“Il nemico da combattere sono i propri pregiudizi. Tutti noi, specialmente quando ci avviciniamo ai grandi conflitti, abbiamo dei preconcetti: è normale, derivano dalle nostre esperienze passate, da quello che abbiamo letto e vissuto. La vera sfida è riuscire a cambiare idea quando ciò che osserviamo, registriamo e viviamo è diverso da quello che credevano fosse. Noi siamo gli storici del presente. Mi piace chi cambia idea sulla base di ciò che vede. Io stesso l’ho fatto: nel 2003 pensano che l’attacco americano in Iraq fosse giusto, poi ho detto e scritto che è stato un fallimento totale. Per quanto riguarda le paure, credo che un po’ di sana paura faccia bene. Il reporter deve averla se va in posti che non conosce. Deve fidarsi dei colleghi locali e cercare, anche nei posti e conflitti peggiori, quelle nicchie di normalità, che nonostante tutto continuano a esserci”.
Alla luce degli attuali scenari storico-politici che la sua professione le ha consentito di esplorare che idea si è fatta del futuro possibile per l’umanità?
“Non sono un catastrofista. A me quello che spaventa di più è come stiamo riducendo l’ambiente. La mia grande preoccupazione è l’inquinamento legato alla sovrappopolazione. La grande sfida è preservare la nostra Terra, riuscire a instaurare uno standard di vita senza distruggere l’ambiente. C’è poi un altro problema, ed è tema del mio libro: noi siamo i figli, molto viziati, di uno stato di democrazia in cui siamo vissuti e cresciuti. Non siamo ancora riusciti a capire che questo stato di grazia è fragile e può essere cambiato. Purtroppo non siamo più pronti a soffrire né tantomeno a morire per difendere le nostre libertà”.
Qual è la sfida più grande o più temuta per chi va al fronte per raccontare la guerra, il terrorismo, l’emarginazione, la sofferenza di interi popoli?
“La sofferenza umana, purtroppo, è una delle tante cose che in guerra si danno per scontate. Ho visto scene strazianti, ma bisogna riuscire a superarle. E’ il mestiere di reporter che te lo impone. Ne ricordo in particolare una dall’impatto fortissimo. Era il 25 marzo 2003, ero fuori Bagdad, gli americani ci portarono a vedere la linea del fronte. C’era una donna in un piccolo ospedale da campo ferita che stava dando, tramite una trasfusione, il suo sangue ai suoi due bambini, uno di circa 5 anni, l’altro di pochi mesi. Quando sono arrivato erano tutti vivi, dopo venti minuti i figli erano morti, attaccati ancora a lei. Una guerra, inoltre, oltre che un grosso tributo di vite umane, porta con sé un enorme spreco: bellezza distrutta e buttata via, penso a monumenti, paesaggi, città rase al suolo”.
Progetti nel cassetto?
“Ne ho uno che mi piacerebbe tanto realizzare: vorrei raccontare la natura in pericolo. Stare in un posto, vivere una situazione. Ad esempio, dormire per un periodo in cima al Monte Bianco per vedere cosa accade alla natura con il passaggio e la frequentazione di persone. Oppure fare un giro in barca a vela dotata anche di motore elettrico alimentato a energia solare e raccontare come sia possibile riuscire a convivere con l’ambiente senza violentarlo e distruggerlo”.
Certaldo, lì 02 Settembre 2022
Associazione Letteraria Giovanni Boccaccio
Premio Boccaccio: è iniziato il conto alla rovescia per la cerimonia finale
Nelle biblioteche si ‘incontrano’ già gli autori vincitori
Fervono i preparativi per l’edizione 2022 del Premio Lettarario Giovanni Boccaccio, la cui cerimonia si terrà, come ogni anno, a Certaldo sabato 10 settembre.
In attesa dell’arrivo dei vincitori della 41esima rassegna, il mondo della cultura scalda i motori e – assoluta novità del Premio - propone sul territorio una serie di iniziative collaterali in biblioteca con i Circoli di Lettura di Certaldo, Montaione e Gambassi Terme, dedicati proprio agli autori che verranno premiati.
Ricordiamo che i vincitori della 41esima edizione del Premio Letteriario Boccaccio sono Alessandro Zaccuri per la Letteratura, Lorenzo Cremonesi per il giornalismo e Lucia Goracci per l’Etica della Comunicazione.
Si inizia, dunque, lunedì 5 settembre, alle ore 17, alla Biblioteca comunale Bruno Ciari di Certaldo con un incontro speciale rivolto a tutti i lettori. Martedì 6 settembre, sempre alle 17, l’appuntamento aperto alla comunità è alla Biblioteca comunale "a biscondola" di Montaione. Mentre mercoledì 7 settembre, ore 17, incontro in programma alla Biblioteca comunale di Gambassi Terme.
Il quarto evento è quello di giovedì 8 settembre, alle ore 17,30, alla Biblioteca comunale Bruno Ciari di Certaldo con Reading Book: animazione e letture a cura di Andrea Giuntini e con i circoli di lettura delle biblioteche di Certaldo, Gambassi Terme e Montaione.
Tra le iniziative della rassegna anche la presentazione dei libri con le autrici Marta Morazzoni e Antonella Cilento.
“Questi incontri nelle biblioteche comunali della Valdelsa sono una importante occasione per lettrici e lettori che possono avvicinarsi agli autori del Premio Boccaccio attraverso le loro opere – spiega Simona Dei, presidente dell’Associazione letteraria Giovanni Boccaccio, promotrice e organizzatrice del Premio - In tal modo, nei successivi appuntamenti che si susseguiranno nel fine settimana del 10 e 11 settembre a Certaldo potranno incontrare e ascoltare il mondo che sta dietro ad ogni libro, dalla voce di chi quelle storie ha scritto, composto, pensato. E quindi sentirsi più protagonisti che spettatori di questa maratona letteraria che da 41 anni si svolge nel paese di Messer Giovanni”.
Per ulteriori informazioni su tutti gli eventi del Premio Letterario Giovanni Boccaccio consultare il sito web dedicato www.premioletterarioboccaccio.it
Certaldo, lì 30 Agosto 2022
Associazione Letteraria Giovanni Boccaccio
Zaccuri: “La lettura è uno spazio di libertà. Ai giovani di tutte le età consiglio Boccaccio, Dostoevskij, Conrad, Silvio D’Arzo e Dürrenmatt”
Il vincitore del “Boccaccio 2022” per la narrativa sarà a Certaldo il 10 settembre, in occasione della cerimonia di premiazione
“La lettura è uno spazio di libertà, motivo per cui sono sempre un po’ in imbarazzo quando si tratta di dare consigli. Personalmente, ho un debole per quello che, di volta in volta, viene chiamato romanzo breve oppure novella. Ce ne sono esempi meravigliosi anche nel Decameron, certo, ma è una misura che appartiene a tutti i maestri. Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, Cuore di tenebra di Conrad, Casa d’altri di Silvio D’Arzo, La promessa di Dürrenmatt: li consiglio ai giovani di tutte le età, perché, in poco più o poco meno di cento pagine, questi testi riescono a rappresentare un mondo che misteriosamente riguarda ciascuno di noi.
A dirlo è Alessandro Zaccuri, vincitore dell’edizione 2022 del Premio Boccaccio per la sezione Narrativa, durante un’intervista realizzata in collaborazione con l’Associazione culturale Giovanni Boccaccio, organizzatrice della Cerimonia di premiazione, che si terrà sabato 10 settembre, alle ore 17.30, al Cinema Teatro Boccaccio.
Sulle analogie e differenze della sua opera con quella del grande novelliere toscano e su quanto la lezione di Messer Boccaccio sia ancora attuale, Zaccuri non ha dubbi come spiega di seguito, prestandosi a ulteriori domande sul suo percorso formativo di autore poliedrico e sui prossimi progetti da realizzare:
“le differenze sono innumerevoli, l’unica analogia è data dalla lingua italiana, e non lo dico in senso riduttivo. Boccaccio è giustamente celebrato come grande narratore, ma non dobbiamo mai dimenticare che è stato uno dei primi e più influenti interpreti di Dante. L’elemento linguistico per lui non è meno importante di quanto lo sia per Dante nella Commedia. La prosa del Decameron nasce dalla stessa preoccupazione che troviamo nel De vulgari eloquentia. L’attualità di Boccaccio, a mio avviso, sta in questa indissolubilità tra lingua e racconto, oggi spesso trascurata. Senza l’ordito dello stile, la trama rischia di non essere sufficiente”.
È romanziere, giornalista, saggista, comunicatore: quanto l’uno deve all’altro? Dove si sente più a suo agio?
“Diciamo che ho la fortuna di fare lo stesso mestiere servendomi di strumenti e di linguaggi diversi. Mi piace pensare di avere ancora qualcosa da sperimentare, anche se, in definitiva, tutto parte dalla letteratura e alla letteratura ritorna. Negli esseri umani c’è questo istinto che porta a conoscersi attraverso il racconto e, nello stesso tempo, a interrogarsi o, meglio, a impegnarsi incessantemente nell’interpretazione. In un modo o nell’altro, è quello che cerco di fare”.
Quali sono gli autori che hanno contribuito maggiormente alla sua formazione?”
“Mi sono laureato in letteratura latina medievale e questo per me è stato un apprendistato fondamentale. Fatta salva la passione per Manzoni, che non per niente è il protagonista di Poco a me stesso, penso che abbiano contato molto le letture di poesia e, per la prosa, l’opera di Federigo Tozzi. Che è un autore di romanzi brevi e di racconti, vale a dire un degno erede di Boccaccio”.
La società dei consumi, a cui ha dedicato un saggio, rischia di collassare o ha ancora la possibilità di salvarsi?
“Sì, ho scritto un libro che si intitola Non è tutto da buttare ed è incentrato sul significato che la spazzatura riveste nelle nostre esistenze. La società dei consumi ha portato al parossismo quella che papa Francesco definisce “la cultura dello scarto”, ma da sempre la spazzatura può essere eccedenza oppure permanenza: qualcosa di cui vogliamo liberarci oppure qualcosa con cui siamo destinati a convivere. In questo, lo scarto ha sempre in sé un’occasione di salvezza”.
Sta lavorando a un nuovo progetto?
“Mi piacerebbe riprendere alcuni personaggi e alcune situazioni di un mio romanzo breve di qualche tempo fa, Lo spregio, fino a comporre una piccola trilogia. Ma è ancora presto per parlarne, considerato che per scrivere Poco a me stesso ho impiegato più di vent’anni”.
Per che cosa le piacerebbe essere ricordato?
“Per aver creduto, anche nella letteratura".
Certaldo, lì 29 Agosto 2022