Alessandro Baricco e il suo “Emmaus” sbarcano a Boston, negli Stati Uniti. “Emmaus”, pubblicato nel 2009 e vincitore del Premio Letterario Giovanni Boccaccio nel 2010, è stato recentemente tradotto in lingua inglese ed è pronto a far breccia nel non certo semplice mercato editoriale d’oltreoceano.  “Emmaus” è il terzo libro di Baricco, dopo “Novecento” e “Seta”, ad essere tradotto in lingua inglese e la vittoria del prestigioso Premio Boccaccio ha dato una spinta importante affinché ciò potesse avvenire. Il romanzo, l'unico parzialmente autobiografico scritto dall'autore, narra la storia di quattro adolescenti torinesi alla ricerca della propria identità, sia fisica che interiore.

Il libro è stato presentato al pubblico di Boston il 31 maggio scorso, in un evento organizzato dal Consolato Generale d’Italia a Boston, dal PIB (Professionisti Italiani a Boston) e dalla Dante Alighieri Society, che si è svolto presso l’auditorium della Dante stessa. Presenti oltre 200 persone, italiani residenti a Boston e statunitensi, rapite dalla raffinata loquacità e dalla grande vena poetica di Baricco.Durante la serata, sono state vendute circa trenta copie di “Emmaus”, tradotto in inglese dall’editrice del “New Yorker” Ann Goldstein. Lo stesso Baricco ha sottolineato quanto sia difficile la traduzione dei sui romanzi in lingua inglese ed il più che positivo riscontro di pubblico avuto a Boston e la curiosità mostrata dai partecipanti all’evento, che hanno rivolto nel corso della serata tante domande all’autore, lasciano ben sperare per un futuro successo commerciale e editoriale del libro negli Stati Uniti.

La conversazione con Baricco si è svolta sotto forma di intervista realizzata dal giovane giornalista Nicola Orichuia. L’autore ha parlato molto di sé, della sua Torino, di “Emmaus” come primo romanzo in cui racconta frammenti della sua adolescenza e della tristezza che traspira dalle pagine del libro. “Tutti i libri che ho scritto – ha sottilineato l’autore – sono stati come dipingere un quadro: io davanti alla tela bianca, i colori in mano e la possibilità di dipingere di tutto. “Emmaus” no. Scriverlo è stato come fare una scultura, levigare e rendere dolce a suon di violente martellate una materia dura come la pietra”.

Jacopo Arrigoni